La mia esperienza con l’Anusara Yoga

Era la prima volta per me, ma non certo per i presenti in questa luminosa sala: si stava tenendo una lezione di quello che un amico mi aveva detto essere, yoga?! Entrando ho subito sentito un’atmosfera leggera, accogliente e invitante.

Ero eccitato e curioso, ma allo stesso tempo timoroso: mi stavo addentrando in qualcosa che andava oltre tutto ciò che avevo ritenuto in linea con la mia visione atea e materialista del mondo? Una parte di me era davvero curiosa, l’altra molto preoccupata.

L’insegnante era seduto a terra su un tappetino di gomma, aveva le gambe incrociate e parlava a tutti: mi ha salutato presentandosi e dandomi il benvenuto, mi sono presentato a mia volta e ho ringraziato. Poi l’insegnante ha continuato e, rivolgendosi nuovamente a tutti, ha introdotto il tema centrale di quel pomeriggio.

Anche se ero estraneo a quella comunità di persone, mi sentivo incluso: tutti sembravano essere connessi fra loro. Una percezione insolita. La mia presenza era apprezzata, era motivo di buon umore o almeno era quello che mi pareva percepire. Mi sono sentito benvoluto.

Non avevo idea di cosa avremmo fatto. Mi ero avvicinato da poco alla meditazione e non potevo nemmeno immaginare il vastissimo panorama che si stava per aprire davanti a me. 

Stavo mettendo piede in una realtà che non si limitava a quella sala: qualcosa di sconosciuto, ma fin da subito così attraente e affascinante da catturarmi e riaccendere tutti i miei sensi.

Quel pomeriggio infatti ha segnato per me l’ingresso in qualcosa di completamente nuovo, ma così vasto e profondo che avrebbe permeato e ridirezionato la mia intera esistenza. Fino ad allora mi identificavo semplicemente con la mia professione e poco più. Il mio mondo era piuttosto ristretto.

L’amico che mi aveva invitato ha portato per me uno di quei tappetini di gomma, simile a quello dell’insegnante. L’ho osservato mentre posizionava il suo, equidistante dagli altri, rispettando un ordine armonico. Ho fatto lo stesso e mi sono seduto a terra: tentavo di imitare la seduta degli altri, “accomodandomi” in una goffa posizione a gambe incrociate. Rispetto a loro, le mie ginocchia non si abbassavano di molto sotto all’altezza delle spalle e non c’era nessun cuscino sul quale fare affidamento: dopo poco le mie gambe iniziarono piano piano ad addormentarsi, ma per mia fortuna non siamo rimasti in quella condizione ancora a lungo. 

Dopo aver recitato un bellissimo mantra, abbiamo cambiato posizione e iniziato ad eseguire delle posizioni per me insolite, ma davvero piacevoli. La voce sicura e gentile dell’insegnante mi guidava con istruzioni molto chiare: respiro dopo respiro ho riscoperto le sensazioni del mio corpo. Percepivo che rispondeva e assecondava il ritmo ondeggiante della classe, a tratti rilassante e introspettivo per poi diventare improvvisamente intenso e sfidante, al limite della fatica fisica, fino al punto in cui la mente avrebbe voluto cedere e mollare. Ma proprio lì la sensibilità dell’insegnante ci guidava ad uscire dalla posizione, quasi come si fa quando si vuole rosolare qualcosa senza farlo bruciare. Il risultato? Una sensazione benefica e purificante. Ho mollato, senza accorgermene, le mie resistenze: l’ateo in me aveva deciso che valeva la pena di esplorare questa esperienza, rischiando la sua integrità. Così ho acquisito fiducia e sono entrato completamente nelle onde di respiro e movimento che stavamo eseguendo tutti insieme, con attitudine concentrata e aperta.

Ad ogni posizione veniva prima dato un nome in sanscrito, la sua traduzione in italiano, la direzione in cui muovere le singole parti del corpo, la fase del respiro su cui iniziare il movimento, fino a raggiungerla e mantenerla con integrità e agio.

Stavamo danzando e integrando tutti gli aspetti dell’essere. La parte fisica in armonia con il respiro, la parte mentale che collegava qualità maschili e femminili dell’essere, incarnandole: tutto questo si esprimeva in una beata onda di movimento consapevole e appagante. Il tempo si era dissolto come quando, da bambino, mi perdevo a giocare con gli amici.

Ad un certo punto l’insegnante ci ha portato in una posizione statica. Questo ci ha permesso di fermarci, regalandoci un momento di profonda connessione con noi stessi. Non avrei mai creduto di poter provare tutta questa soddisfazione: non sentivo il bisogno di niente, stavo dimorando in un luogo di me stesso completamente indipendente, libero e appagato. L’esperienza più simile al significato della parola “casa”: mi sentivo al mio posto dentro me stesso, wow!!! Ho pensato: questa “roba” è infinitamente meglio di qualsiasi droga, alcool o sballo ed è completamente gratuita, sempre disponibile dentro di me.

Più mi affidavo alla pratica, più mi impegnavo e più il mio corpo si apriva, come se ci fosse un “agente” inaspettato, una sorta di grazia ad agire con me e attraverso di me.

L’insegnante mi ha invitato ad inginocchiarmi al centro del tappetino con le mani a terra, aiutandomi a posizionarle con una logica coerente: mi ha poi detto di pressare amorevolmente la punta delle dita a terra. Vedendo che lo ascoltavo e mettevo in pratica le sue indicazioni, mi ha fatto sollevare le ginocchia camminando un po’ più avanti con i piedi e poi ha detto: “mantieni il tuo cuore morbido mentre sollevi una gamba”. Ha preso la mia caviglia, sostenendola con decisione, e mi ha ricordato di non piegare le braccia mentre sollevavo l’altra gamba dal pavimento, la seconda! Sono rimasto concentrato, ho eseguito tutto alla lettera e, senza rendermene conto, mi sono ritrovato in verticale sulle mani; avevo sognato fin da bambino di poter fare qualcosa del genere. Si è sincerato che io fossi ben stabile e mi ha mantenuto in verticale con un tocco leggero. Ero io a fare tutto questo?! Intorno a me ho avvertito le mani degli altri partecipanti esplodere in un applauso di soddisfazione condivisa, mi sono sentito pervaso da una profonda dose di autostima, che mi ha riempito il cuore come mai prima di allora. Incredulo ma cosciente che tutto questo stesse succedendo proprio a me, mi sono lasciato guidare nella discesa fino a riportarmi seduto sulle ginocchia: spontaneamente ho unito i palmi delle mani davanti al centro del petto e ho abbassato con riverenza la testa. Una sensazione di profonda gratitudine mi stava pervadendo fino a bagnarmi gli occhi.

Uno potrebbe pensare: “Ok, ora basta giusto? Siete usciti, vi siete salutati e arrivederci, no?”. No, la lezione continuava, eravamo solo giunti al suo picco. Ora dovevamo aiutarci ad eseguire la stessa posizione in coppia, proprio come si farebbe tra ragazzi che giocano insieme. Come succede quando si raggiunge la vetta di una montagna camminando, poi si inizia a scendere ed eventualmente si risale di nuovo su per un altro sentiero: è proprio quello che abbiamo fatto. Siamo passati progressivamente attraverso un’efficace preparazione ai piegamenti all’indietro, fino ad inarcarci con la schiena come avevo visto fare solo al circo. Stavolta però ero io a farlo. Lo facevano anche tutti gli altri, raggiungendo chi più e chi meno la posizione dell’arco: le mani prendono con decisione le caviglie passando dietro la schiena e ci si solleva con le cosce e il petto dal pavimento, fino al punto in cui la mia pancia si è tanto allungata da far sciogliere, in un dolore misto a rilascio, le tensioni di una vita, il dolore e la pesantezza che mi ero portato dietro e che credevo fosse normale portare con sé; era tutto scomparso! Un miracolo?

Forse possiamo anche chiamarlo così, in fondo abbiamo imparato a definire con il termine miracolo tutto quello ci sorprende, che sfida le nostre credenze, sovvertendole, e che fino ad un momento prima non immaginavamo potesse accadere. Ho intuito e compreso che la vita stessa è un miracolo, proprio come mi aveva detto il mio primo insegnante di meditazione.

La classe, tuttavia, non era ancora terminata, Di lì a poco avremmo iniziato la “discesa”, la fase del “cool down” (raffreddamento), una progressiva sequenza di posture rigeneranti, eseguite con ancora più attenzione, che ci hanno portato dai picchi precedenti fino a tornare seduti a terra. Abbiamo eseguito alcune posizioni di piegamento in avanti e torsione, durante le quali sentivo la mia mente calmarsi, come se la sua solita agitazione fosse evaporata durante la lezione.

Eravamo quasi al termine quando l’insegnante ci ha fatti sdraiare e allungare verso l’alto, una gamba alla volta, mentre ci tenevamo la coscia in alto con le mani: serviva a ridistendere la parte bassa della schiena. Poi alcune torsioni da terra e un abbraccio alle ginocchia, fino a distenderci completamente sul tappetino.

Ero esausto ma felicemente appagato: l’insegnante ci ha fatto chiudere gli occhi e ha detto altre cose che non ricordo, poiché sono sprofondato molto naturalmente in uno stato di rilassamento così vasto, e al tempo stesso sicuro, da non distinguere più le parole. Ero semplicemente “pura beatitudine dell’essere”. Siamo rimasti sdraiati per un tempo che non riuscii a quantificare: furono forse una decina di minuti, che in quel momento per me potevano essere lunghi un giorno intero o un battito di ciglia. So solo che non avrei mai voluto uscire da quello stato di immensa presenza, quieta e pacifica.

Tinggg, silenzio. Tinggg, silenzio. Tinggggg, il riverbero di un suono celestiale mi ha concesso la possibilità di riportarmi verso il mondo esteriore. Mi sono di colpo ricordato e reso conto di dov’ero, ho riconosciuto distante la voce e le parole pronunciate dall’insegnante che, con cadenza lenta e profondo rispetto, ci stava guidando ad uscire dalla postura finale, quella di rilassamento.

Muovendo il corpo fisico controvoglia, mi sono ricomposto, girato sul lato e, aiutandomi con le mani, ho ripreso la posizione seduta a gambe incrociate, che, mi ha ulteriormente sorpreso. Ora infatti le mie ginocchia, anziché essere poco più basse delle spalle, erano scese di molto: potevo mantenere la postura seduta con una semplicità inaspettata.

Ancora meravigliato e con la mente avvolta nel mistero, ho preso una decisione solenne: non capivo ancora bene cos’era successo in quella classe, ma ero certo che avrei voluto ripetere quell’esperienza e apprenderla, per poterla offrire a tutti quelli che, come me, non l’avevano ancora scoperta.

Unendo le nostre voci in una sola, l’insegnante ci ha guidati a recitare la sillaba OM, per poi chiudere dicendo: “vi auguro che i benefici della pratica si possano sviluppare anche nella vita quotidiana”. Mi lasciò stupito, ancora una volta. Ho pensato: “Quindi questa cosa non finisce con il termine della classe, ma posso portarla con me fuori da questa sala?!”.

Ha concluso salutandoci con una parola sanscrita, espressa con un tono di voce caldo e gradevole. 

Namastè! 

Si è inchinato a tutti noi, che abbiamo risposto in coro Namastè e ci siamo inchinati a lui.

Quella che avevo appena terminato era una sessione di hatha yoga della scuola Anusara, la scuola che puoi praticare, apprendere e, perchè no, insegnare e diffondere a più persone possibili. Anusara yoga è lo stile di hatha yoga che da quel pomeriggio io pratico, apprendo e condivido con chi, come te, è pronto ad aprirsi a qualcosa di più grande. A una realtà immensa, molto più vasta del proprio piccolo mondo dal quale si può aver realizzato di voler uscire. 

Se anche tu ti senti stretto nel tuo piccolo mondo e vuoi fare un passo verso le infinite possibilità della vita, sono felice di invitarti ad iniziare la formazione insegnanti Anusara yoga.

Unisciti a me e al gruppo di cercatori che inizierà da settembre questo nuovo viaggio.